L’alba del giorno dopo è ancora impregnata dell’odore acre di zolfo, perclorato di potassio, alluminio in polvere, birra, sangue, paura, panico. La sera che nei voti unanimi sarebbe dovuta essere di festa si è tramutata in una sorta di apocalisse, un piccolo Heysel, un girone dantesco dipinto con i colori della guerra e intriso di vetri, urla, dolore, sirene, gente vagante con il nulla negli occhi e altra alla disperata ricerca di amici, famigliari o famigli dispersi, senza che la tecnologia potesse aiutare; quasi impossibile telefonare o comunicare tramite internet.

Tutto questo nel salotto buono della città, non in una plaga desolata ai confini del mondo, o in zone drammaticamente colpite da guerre “vere”, il cui interesse verso le stesse è schifosamente proporzionale alla loro vicinanza, tutto questo per una partita di calcio, anche se si trattava “della” partita. Lo sconcerto, il dolere che riguarda molto fortunosamente per chi scrive, solo l’anima, tuttavia non comprende la sorpresa. Sono tempi in cui, affastellare migliaia di persone in spazi non controllabili, presta il fianco a conseguenze sovente tragiche, specialmente quando la deficienza di alcuni funge da perfetto detonatore all’insipienza di chi è preposto all’organizzazione di simili adunanze.

Se Sindaco (“o” finale voluta) e Questore avessero un minimo di dignità oggi si dimetterebbero, ma sperare in certi sussulti in un Paese e una città che hanno abdicato da tempo a ogni autentica assunzione di responsabilità è un esercizio riservato a poeti, sognatori e inguaribili romantici; categorie maledettamente in disarmo.

Quanto alla cosiddetta gara del “Millennium”, osservata fino al momento in cui si è scatenato il finimondo, in tutta onestà e almeno per ora, allo scriba pare futile e stupido esperire commenti approfonditi. È stata vinta, meritatamente, dalla squadra più forte e che ha fatto valere, soprattutto nella seconda frazione di gioco, una superiorità tattica, tecnica e atletica sinceramente imbarazzante e ampiamente superiore alle attese.

I presupposti che avevano indotto, sino alla vigilia, la sensazione/certezza di reggere il confronto alla pari e che la contesa fosse più equilibrata, si sono svelati impietosamente fallaci, ma la delusione più grande non risiede nella sconfitta, bensì nell’avvilimento per aver visto la Juve squagliarsi sul più bello con il tradimento delle sue principali caratteristiche.

Nulla accade per caso; ci sarà modo e tempo per scandagliarne ragioni fiorite ieri, ma seminate un’estate fa. La vita continua, ma da domani, quando, forse, saranno parzialmente decantati i pensieri rivolti alle priorità; oggi non è ancora un altro giorno.

Augh.

Ezio MALETTO