È cambiato tutto, da quel 23 dicembre, da quella Supercoppa Italiana sfuggita ai calci di rigore e finita nella sala dei trofei del Milan.

Innanzitutto, la Juventus ha adottato un nuovo modulo, passando alla difesa a 4 e assumendo un atteggiamento totalmente a trazione anteriore, che le ha consentito di accrescere in maniera esponenziale il suo livello di pericolosità sotto rete senza però perdere la solidità difensiva che ha contraddistinto il cammino dei bianconeri negli ultimi cinque anni e mezzo.

Va segnalata, poi, la crescita esponenziale di Miralem Pjanić: il bosniaco, protetto a centrocampo dalla mole statuaria di Sami Khedira, ha finalmente trovato la sua collocazione tattica ideale, che gli permette di indossare con fierezza i panni del playmaker tanto agognato dopo la partenza di Andrea Pirlo.

Merita un capitolo a parte Paulo Dybala: uscito dalla finale di Doha con le ossa rotte e con il peso del rigore decisivo sbagliato, il fuoriclasse argentino non soltanto si è ripreso la Juventus a suon di goal, ma ha immediatamente ritrovato il feeling con il dischetto, mettendo a segno tre penalty consecutivi (uno in campionato, contro il Bologna, e due in Coppa Italia, proprio contro il Napoli).

Certo, un fenomeno come il 23enne di Laguna Larga non poteva essere messo alla gogna per una trasformazione fallita dagli undici metri: d’altronde, “non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore”