Dal Vangelo bianconero secondo il “coadiuvante”: “L’obiettivo primario è quello che è nel Dna della Juventus, ovvero lo scudetto, poi dopo c’è la Coppa Italia e la Champions…” .

Tradotto a beneficio delle cervici più coriacee: “Vincere la Champions non è importante, è lo scudetto l’unica cosa che conta”. Con questa mentalità la grolla degli eletti rimarrà un miraggio sportivo, con annesso disdoro di larga parte della “clientela” che, contrariamente alla Società e al suo ventriloquo, si è affrancata da tempo dalla perniciosa abitudine mentale di pensare in piccolo, peraltro più obsoleta di un telefono a parete, e ciò nonostante, una stagione dopo l’altra, si lascia spolpare con la mansuetudine dell’agnello sacrificale.

Ma che importa? Tanto i conti tornano, e quadrerebbero a prescindere anche con un percorso continentale che si interrompesse ai quarti di finale; tanto la cogente preoccupazione del cliente/tifoso medio è quella di poter stritolare con i tentacoli più mefitici della propria sottocultura i paladini delle contrade avverse.

Guardare in basso, anziché aspirare ai massimi livelli, è il viatico più comodo per regredire, secondo chi scrive e pure per Friedrich Wilhelm Nietzsche, personalità decisamente più autorevole dello scrivano che con il calcio nulla aveva da spartire, ma la cui citazione Quando guardi a lungo nell’abisso, l’abisso ti guarda dentro” è drammaticamente applicabile a qualsivoglia contesto dell’umano vivere.

Fino a quando chi deve non capirà che essere grandi in Patria non corrisponde a egual livello oltre confine, la solfa non muterà. È invece vero il contrario, giacché una squadra attrezzata per sedersi sul trono d’Europa quasi inesorabilmente vincerà, o competerà per farlo, il torneo nazionale d’appartenenza; a maggior ragione un campionato di quarta fascia, anche economica, come quello italiano.

Alla luce dell’indirizzo societario sopra esposto e dei rumors atti a sostenere l’interesse per il baraccone calcistico in assenza di partite, non è purtroppo ragionevole ipotizzare un’inversione di tendenza, ma a prescindere da arrivi e partenze è convinzione dello scriba che perseverare sistematicamente un assetto che preveda due soli autentici centrocampisti, per giunta monopasso, e una forma mentis orientata principalmente alla cura della fase difensiva, contribuirà a sclerotizzare la permanenza a metà del guado sino all’inesorabile esaurimento di una certa inerzia.

Però, pare proprio che la riva della qualità assoluta sia meno rassicurante e/o attraente della familiare, ancorché modesta, spiaggetta italiota. I soldi ci sarebbero, sulla capacità di spenderli molto si potrebbe eccepire, sulla volontà d’investire, vieppiù. E non si adduca a esempio la sessione di mercato estivo ultima scorsa (un magnifico specchietto per allodole) che, a scanso d’equivoci, è terminata con un discreto gruzzolo a vantaggio del salvadanaio sabaudo e conclamato indebolimento dell’organico.

Gli investimenti sono ben altra cosa e non occorre aver frequentato la facoltà di economia ad Harvard per capirlo.

Augh!

Ezio MALETTO