Poco meno di un mese fa scrissi che la stagione agonistica, allora nascente e oggi imberbe, non suscitava in me alcuna reazione eupeptica, ed era la verità.

D’altronde, per ogni juventino con il cervello non appaltato, l’umiliazione di Cardiff, con relativo rinnovo del contratto al cicisbeo labronico, fedele a sé stesso nel presentare una squadra inguardabile anche in occasione dell’ennesima finale di Supercoppa italiana persa in modo dilettantesco, e la solita sessione di mercato estivo condotta all’insegna di evidenti contraddizioni, sono stati bocconi amari da deglutire e metabolizzare; colpi ferali inferti agli entusiasmi e aspettative che normalmente accompagnano l’inizio di una nuova annata sportiva.

Però, valgono anche per Juve le dinamiche emotive che governano il sentimento più intenso; per quanto si possa essere delusi o adirati, se l’amore è vero non può venir meno, nemmeno volendolo. Esso rimane lì, cova sotto la cenere in attesa di una scintilla che lo faccia nuovamente divampare in tutta la sua prorompenza. E poiché “certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano, indivisibili, indissolubili, inseparabili…”, la fatal favilla è infine scoccata.

Ad attizzarla è stata un untore le cui generalità sono riassunte dall’acronimo VAR. Senza la sua introduzione, non ho alcuna remora ad ammetterlo, poco mi sarebbe importato degli accadimenti nel torneuccio di quarta fascia, di un’altra possibile vittoria equiparabile all’aggiunta di un nichelino nel deposito di Paperon de’ Paperoni, ma l’utilizzo artatamente, spudoratamente subdolo e fazioso posto in essere dagli sgherri della conventicola federale, pur ammantato di apparente legalità, ha lo stesso nauseabondo fetore che ammorbava l’aria nell’estate del 2006; ferite mai completamente suturate hanno ripreso a sanguinare copiosamente e mentre Madama, vestita di Chievo Verona sgambettava sul prato del Luigi Ferraris, ricordando Omero ho chiesto a Eupalla di risparmiarmi la riproposizione di un’ira funesta che già addusse infiniti lutti per l’orrido pasto di cani e augelli.

Ebbene sì, ora voglio questo scudetto del quale sportivamente mi frega meno di nulla. Lo voglio perché può essere prodromico al fallimento di un baraccone che si regge in piedi unicamente per i soldi messi in circolo dalla Juve, siano essi ben spesi, come a esempio per l’erezione della “Marotta Arena” in quel di Udine o impiegati per ritardare la consegna di tanti libri contabili nei Tribunali territoriali competenti. Voglio che questa Federazione si riduca a vendere per cento Euro i diritti televisivi di un campionato in corso di taroccamento alla prima “risorsa” della Boldrini che passa per la strada; voglio uno sconquasso tale da costringere i club virtuosi a costituire una lega autonoma e affrancata dalla consorteria di stampo paramafioso che pretende di governarli con una mentalità già vecchia nel tardo medioevo.

A questo punto è del tutto ininfluente che la squadra cammini e che il duo titolare della terra di mezzo rappresenti lo spot vivente e affatto subliminale di “Poltrone&Sofà”; poco importa che il centrattacco sia la reincarnazione di Rino Ferrario detto “Mobilia” e abbia sempre l’espressione stolida di chi, col pensiero, preferirebbe partecipare a una grigliata, oppure che per le sostituzioni in corso d’opera sia necessario un preventivo Ambrarabaciccicoccò lungo una quaresima; nulla di tutto questo ha più rilevanza (nel Paese di “Giralaruota”…). Conta solo che vadano all’asta i sepolcri imbiancati e sul lastrico i farisei con manutengoli al seguito.

All’uopo e a dispetto dello straTerga, si lasci fare al “Sivorino”. Oltretutto non è detto che cominciare ogni partita con la certezza di un rigore contrario sia una sciagura. Probabilmente ci si divertirà di più e la circostanza potrebbe svelarsi allenante anche in chiave europea. Ne saranno penalizzati i Circhi? Pazienza…

Augh!

Ezio MALETTO