‘Papà, mi fai un esempio di eroe? Sì figliolo, un eroe è colui che non abbandona la barca nel momento in cui sta per affondare’. Altre parole sarebbero sprecate, considerate solo ed esclusivamente superflue. La J-Interview di questa settimana è dedicata ad Alessandro Birindelli, in bianconero dal 1997 al 2008.
IDENTIKIT – Nato a Pisa il 12 novembre del 1974, conta 305 presenze totali e 7 centri realizzati con la maglia della Vecchia Signora in 11 stagioni. Nonostante non fosse un titolarissimo, ha giocato per ben 214 volte dal primo minuto. 19603′ i minuti macinati in tutte le competizioni, con lui in campo la Juve ha vinto 172 volte.
PRESENZE/GOL | CAMPIONATO | COPPA ITALIA | EUROPA |
305/7 | 196/2 | 38/2 | 66/3 |
RICONOSCENZA – “Ero in Serie B con l’Empoli, una buona vetrina dove potersi mettere in mostra. Fiorentina e Juventus seguivano le mie prestazioni, i bianconeri hanno dimostrato maggior interesse e dopo novembre decisero di acquistarmi. Fu una felicità immensa“. Nonostante siano passati tanti anni da allora, Birindelli rivive quei momenti come se avesse di nuovo 22 anni, quando era un giovane di belle speranze che puntava senza mezzi termini a giocare nella sua squadra del cuore: “Il direttore Moggi, con i suoi osservatori, mi seguiva da un paio d’anni – ci confessa in esclusiva – e conosceva bene i giovani dell’Empoli. Con il mister Spalletti abbiamo vinto due campionati consecutivi, la città toscana era inoltre un punto considerato strategico dagli osservatori per guardare da vicino le nuove leve“. Proprio l’attuale allenatore della Roma è stato uno snodo importante della sua carriera: “Nel mio percorso di crescita ho avuto la fortuna di avere allenatori che mi hanno insegnato a stare al mondo. Tanti di noi vedevano Spalletti come un compagno – ha raccontato – e all’inizio è stato molto bravo a creare un gruppo davvero solido. Si intuivano già allora le doti di Luciano, era sempre alla ricerca di quel qualcosa in più e il suo modo di allenare era coinvolgente. Quei due anni vissuti ad Empoli sono stati davvero momenti bellissimi e non li dimenticherò mai“.
ECCELLENZA– Dopo aver convinto ad Empoli, per Alessandro arriva la svolta. Nell’estate del 1997 viene acquistato dalla Juventus, all’epoca all’apice anche in Europa oltre che in Italia: “Ero convinto della decisione presa, sono sempre stato ambizioso e mi piaceva competere con i più giocatori più forti. Da tifoso li vedevo da casa, tifavo per loro dalla tv e mi ritrovai ad allenarmi con loro. Fu un sogno che divenne realtà. Vivevo quei momenti con spensieratezza – ha proseguito -, ero come un bambino che viveva l’esperienza bianconera come quella che puoi vivere al Luna Park. Ero sempre felice. Non avevo nessuna ansia da prestazione, anzi. Ebbi anche la fortuna di mettermi in luce nelle partite amichevoli disputate, il mister (Lippi ndr) mi schierò titolare nella Supercoppa italiana giocata contro il Vicenza e non mi levò quasi più. Infatti, in quell’anno, giocai quasi 50 partite. Nonostante la finale persa di Champions, vinsi il campionato. Non male come primo anno“. Ma per te, Alessandro, che cosa è la Juventus? Domanda scontata, ma che ha come obiettivo quello di aprire la sua scatola di ricordi: “La Juventus è un’eccellenza. E’ come l’università che abbiamo a Pisa; insieme al Milan è stata la squadra che più ci hanno invidiato per anni. Per me era tutta una novità – ha continuato -, fin da subito ho sempre avuto l’impressione di esser li da una vita. La forza di quel gruppo era quello di farti sentire a tuo agio. Non ti insegnavano nulla, bastava osservare i loro comportamenti per capire cosa significava vivere una realtà come quella della Juventus“.
EMOZIONI – Avere allenatori come Lippi, Ancelotti e Capello non è da tutti: “La Juve più forte in cui ho giocato, nei singoli, era quella di Capello – ci risponde sinceramente alla domanda posta -. Era un gruppo di tutti Nazionali. Quella che mi emozionava di più per via del gruppo era quella Juve composta da Peruzzi, Montero, Ferrara, Conte, Tacchinardi, Di Livio, Del Piero. C’era una stragrande maggioranza di italiani, facevamo gruppo e le nostre idee ci rendevano simili. Diversa da quella del 2006, era sì una squadra ma meno unita fuori dal campo“.
Twitter: @_Morik92_
Fonti dati: Juworld.net, Fonte foto: Goal.com